“…questa cosa… è una specie di complesso di Edipo?”
“parlerei piuttosto di tabù di Edipo. E comunque no, è infinitamente più proibito.”
“perché?”
“perché non ci è concesso salvare ciò che è stato deciso debba essere distrutto...”
In quei luoghi ora noti come Castroreale - 1134 A. C.
L’ex sovrano medio-orientale Artenomo si svegliò in preda agli incubi del suo passato. Le fronde del castagneto sotto il quale egli riposava erano intrise del profumo ingiallito di una notte settembrina.
“Padre…”
Si voltò ed era lì, destata anch’ella dai ricordi di ciò che erano stati, bellissima, come se le tribolazioni che avevano patito non fossero mai riuscite ad intaccare la sua beltà.
“Padre… sette anni…”
“Lo so. Quando l’alba illuminerà un altro giorno lo saranno. 7 anni di supplizi, 7 anni di pensieri su quello che sarebbe potuto essere…”
“7 anni di esilio, 7 anni di cammino…”
Quando i raggi del sole svelarono quelle terre innanzi ad essi, Artenomo capì che il loro viaggio si era concluso.
“Quello che vedi porterà il tuo nome, figlia mia. Gli Dei mi perdonino per quanto hai patito, mia piccola e dolce…. Artemisia.”
“… è qui che tutto cominciò? Su queste colline?”
“No, tutto cominciò in un regno medio-orientale, perso nel tempo e nell’oblio. Queste colline assistettero solo all’epilogo. E questa torre, ne è il monumento funebre.”
“La torre di Federico II d’Aragona?”
“E’ molto di più di questo.”
Cristina (oggi Castroreale) - 1324 D. C.
Per premiare la fedeltà della cittadina durante la rivolta dei Vespri Siciliani, Federico II d’Aragona, ordinò la ricostruzione dell’antico castello di Cristina. L’obiettivo era quello di creare una roccaforte per controllare la zona ad occidente di Milazzo. D’ora in avanti, Cristina sarebbe diventata una città demaniale col nome di Castroreale…
“I Cristiani… sopportano le nostre ricchezze, non noi. Ci tollerano per quello che il potere economico della comunità ebraica significa per questa città…”
“Tollerano anche il potere economico di noi poveri operai addetti alla ricostruzione del castello?”
Giosafat improvvisamente si ammutolì, capendo che l’amico d’infanzia Byniamine non voleva essere trascinato nell’ennesima polemica anticristiana. Egli voleva solo completare il lavoro alla torre, per il quale il casato Aragonese li pagava con grana sonante. Quella mattina, Giosafat e Byniamine si avviarono verso il cantiere, i loro indumenti da lavoro lambiti dalla brezza del Mediterraneo. La torre attorno alla quale avrebbero dovuto scavare per riportarne alla luce le mura inferiori si scagliava sulle isole Eolie, come avrebbe fatto il guardiano che sarebbe dovuta diventare, una volta finiti i lavori. Tra la torre e le isole Eolie, una piana sconfinata, a perdita d’occhio, nella quale sarebbe stato possibile scorgere una libellula volteggiare a chilometri di distanza. Dopo solo poche badilate alle fondamenta della torre, fu chiaro per Giosafat che quella sarebbe stata una giornata lavorativa molto proficua. Mostrò all’amico Byniamine la piccola cassa di metallo che aveva rinvenuto. La superficie grezza, quasi lavica, le dava un aspetto molto più pesante rispetto a quello che in effetti era. Il sigillo, realizzato con un materiale diverso, sarebbe saltato via piuttosto facilmente, una volta a casa. Aspettarono in euforica attesa la fine di quel giorno lavorativo, che ancora li separava da quello che poteva essere un tesoro bizantino. Non appena Byniamine, a casa di Giosafat, usò sul sigillo il punteruolo che il maniscalco gli aveva prestato, sentì come un soffio, un odore acre che s’insinuò nelle sue narici e gli penetrò sotto la pelle. Nessun tesoro, solo un minuscolo scheletro con una pergamena in mano, che a contatto con l’aria si disfece immediatamente, volatilizzandosi di fronte ai due ebrei. Nient’altro. Doveva essere il corpo di un neonato, ma qualcosa non andava. Gli arti erano sottili e allungati, sproporzionati rispetto al corpo mentre il cranio schiacciato e cuneiforme pareva quello di un anfibio. Dovevano essere ossa di diversa provenienza, pensarono. La loro rivalsa economica sugli ebrei più ricchi avrebbe dovuto aspettare. Quando finalmente fu a casa, Byniamine non poteva sapere che la peste nera era appena entrata in lui e si sarebbe fatta strada in tutta Europa negli anni successivi, mietendo milioni di vittime. Dopo solo qualche anno non ci sarebbero più stati ebrei a Castroreale, quelli che si salvarono dalla peste vennero perseguitati come untori, le loro proprietà distrutte, i luoghi di culto dati alle fiamme. L’arco della sinagoga, nel centro del paese, alle spalle del monte di pietà, rappresenta oggi la sola traccia lasciata da quella comunità.
“…è quindi una storia di morte, quella che Artenomo portò con sé dal medio-oriente fino a Castroreale?”
“No. E’ una storia d’amore. Quella tra Dio e i suoi figli eletti per governare la Terra e tra quest’ultimi e quelli che non lo sono stati, che Egli condannò alla morte e all’oblio.”
Nell’epoca oggi conosciuta come Preistoria, in quanto la storia la scrivono i vincitori – Da qualche parte in medio-oriente.
“Questa notte scriverò della nostra fine. Perché è chiaro che essa è vicina.
Vorrei rivolgermi a Voi, Nanna, Enki, Shamash e Inanna ma non posso farlo, non ci permettete nemmeno questo.
Avete deciso che il nostro tempo qui è finito e che saranno gli uomini a regnare sulla terra. Il germe della distruzione che avete impiantato negli esseri umani ci porterà via per sempre. Essi da noi erano stati amati anche carnalmente e il pericolo di una nuova razza stanotte sarà scongiurato per sempre. Così è stato deciso.
Il terrore che sento in questo momento, non è certo la paura della morte a darmelo ma quella di essere dimenticato. Che equivale a dire, non essere mai esistito.”
Artemisia (oggi Castroreale) - 1137 A. C.
Come ogni sera, Artenomo rilesse quello scritto tabù, che nessun avo gli ha mai tramandato in quanto mai è stato scritto da alcuno. Non fu mai risparmiato dalle altre famiglie reali solo per via della sua sacra discendenza e ciò che rimase della sua famiglia non fu mai condannata a viaggiare continuamente per 7 anni, in modo da allontanare il più possibile la minaccia di carestie ed epidemia, che la loro sola presenza aveva portato nei territori d’origine.
“Artemisia.”
“Si, padre.”
“Prima che tu e Castoreo diate alla luce il vostro primogenito, devi sapere una cosa. Devi sapere da dove vieni.”
Le porse lo scritto che per migliaia di anni la sua discendenza aveva custodito e Artemisia lo lesse con attenzione.
“Padre… cosa vuol dire…?”
“Siamo in gran parte umani, ma è possibile che in una generazione ogni tante, essi si manifestino, come se non volessero rinunciare all’oblio a cui sono stati condannati. Dovevo dirtelo, prima che tuo figlio nascesse, in modo che tu fossi pronta.”
“…così Artemisia chiese a Castoreo, abile fabbro, di costruire una cassa che passasse inosservata…”
“…dalla superficie grezza, quasi lavica, più pesante di ciò che in realtà fosse…”
“esattamente… hai indovinato”
“non sapevo di questa legenda…”
“perché non lo è, me la sono inventata adesso.”
Ai piedi della torre di Federico II, gentilmente aperta solo per me, ammiro la piana di Milazzo, le Eolie, la corona dei Nebrodi, in una clemente mattinata di Febbraio, di quelle che solo in Sicilia.
E penso che sia impossibile non rimanere ispirati da tutto ciò.
Sebastian Sogni
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