“Lo Spasimo di Palermo” diventerà un film. Il romanzo di Vincenzo Consolo, dodici anni dopo la prima uscita nelle librerie, sarà ridotto per il cinema su iniziativa di una casa di produzione francese. Un importante debutto poiché mai prima d’ora le opere letterarie del grande autore siciliano avevano preso vita su grande schermo, nonostante la sua incredibile e mai sopita passione per quella che proprio nello “Spasimo” egli definisce, alla maniera di Jean Cocteau, la “deuxième muse”.
La pellicola, il cui trattamento è stato recentemente presentato al Festival di Cannes nell'ambito del progetto “Atelier Farnese – Laboratorio italo-francese di scrittura per il cinema”, avrà come titolo “Vivre ou Rien”, in virtù di un adattamento a quattro mani ad opera di Marie Agnès Viala e Giorgio Arlorio.
“Lo Spasimo di Palermo” (Mondadori, 131 pagine, 7,80 euro) è certamente uno dei romanzi più noti e importanti dello scrittore siciliano, nonché il più direttamente connesso all'arte delle immagini in movimento. L'intreccio, infatti, si sviluppa proprio a partire da uno spunto cinematografico, la proiezione della saga di “Judex” (11 episodi realizzati tra il 1916 e il 1918, in piena Guerra Mondiale), nobile giustiziere vestito di velluto nero, con cappello a larghe tese e cappa con fibbie d’argento, reso popolare al cinema da quel genio dei film seriali tratti dai fumetti d’inizio secolo che è stato Louis Feuillade, acclamato regista delle pellicole di “Fantômas”. Sarà proprio il ricordo dell’eroe mascherato “Judex”, infatti, a spingere il protagonista dello “Spasimo”, lo scrittore Gioacchino Martinez, a compiere un atipico viaggio “à rebours” al fine di recuperare la memoria del padre ucciso dai nazisti. Un viaggio mentale ma anche reale, tra Palermo, Milano e Parigi, che illustra magistralmente lo sgomento dell’autore di fronte all’orrore della storia e all’oscenità del potere, sentimento che l’autore assimila almeno visivamente con quello della Vergine di fronte al Cristo che crolla sotto la Croce, immagine emblematica tratta dal quadro di Raffaello noto come “Andata al Calvario”, dipinto per la Chiesa di Santa Maria dello Spasimo alla Kalsa (da cui il titolo del romanzo) e attualmente esposto al Museo del Prado di Madrid.
Della trasposizione dello “Spasimo” e di altri sfiorati, sognati, purtroppo abbandonati passati incontri con il cinema abbiamo parlato direttamente con il Maestro di Sant'Agata Militello.
«Dai miei libri non è mai stato tratto un film, sono sempre stato considerato un autore troppo difficile», ci confessa infatti molto candidamente Consolo, senza ironia, salvo poi rivelare che la presunta “difficoltà” dei suoi testi letterati non è stato l’unico ostacolo per il successo cinematografico delle sue opere. In passato, infatti, anche “Il sorriso dell’ignoto marinaio” sarebbe dovuto diventare un film, se solo logiche del tutto estranee a questioni artistiche non ne avessero bloccato la produzione. Come ci racconta lo stesso autore, «era il 1978 e la Rai aveva commissionato a me e al regista Salvatore Maira una sceneggiatura tratta dal “Sorriso”, sceneggiatura di cui peraltro conservo ancora una copia a Milano. Poi però il progetto saltò perché allora per lavorare in Rai dovevi essere o democristiano o socialista ed io invece non possedevo alcuna tessera di partito».
Altra storia, invece, è quella che riguarda “Il memoriale di Basilio Archita”, racconto di chiusura de “Le Pietre di Pantalica”, la cui idea di film è nata e morta addirittura senza che Consolo sapesse nulla. A svelare il segreto di questo tentativo, un paio di anni fa durante un'edizione del Salina Doc Fest, il regista Vittorio Taviani, componente del comitato d’onore del bel festival di documentari diretto dalla figlia Giovanna. Il maestro de “La Notte di San Lorenzo” e di “Kaos”, che insieme con il fratello ha scritto alcune delle pagine più belle del cinema italiano, ipnotizzò in quell'occasione la platea isolana raccontando proprio i tragici eventi riportati da Consolo in quel testo – l’eccidio di cinque clandestini somali in una nave greca, ripugnante episodio di razzismo tratto dalle cronache di fine ’80, e riprodotto in forma letteraria su iniziativa di Eugenio Scalfari, allora direttore dell’Espresso - e le motivazioni che spinsero i due cineasti ad abbandonare l’impresa: «per quella forza scientifica, tecnica e misteriosa che è il cinema», spiegò Vittorio Taviani, «quella sceneggiatura ci stava trasportando in una dimensione in cui la follia, l’atrocità contenuta in quel fatto di cronaca stavano oltrepassando i limiti della sopportazione». Una vera e propria lezione di etica cinematografica, quasi anacronistica se si pensa a quanto importante in senso commerciale sia diventato negli ultimi anni abbattere ogni limite della rappresentazione, rincorrere l’immagine più truce, il dettaglio più spietato, giungere all’esplicitazione visiva di ogni istinto più basso dell’uomo.
Insomma, se “Lo Spasimo di Palermo” sarà il primo film tratto dai romanzi di Vincenzo Consolo, pure queste testimonianze ci danno conferma delle grandi e per molti versi inesplorate potenzialità e suggestioni visive dell’opera letteraria del maestro siciliano. Non a caso, è lo stesso autore a rivelarci di aver sempre avuto un forte legame con la settima arte, sin dagli anni della formazione, da quando in un Liceo di Barcellona Pozzo di Gotto un professore di filosofia, antesignano di quel mitico Henry Langlois che negli anni d’oro della Cinémathèque Française curò l’apprendistato dei futuri protagonisti della Nouvelle Vague, portava gli alunni al Cinema Maya (nome creato dallo stesso docente, in riferimento al “velo di Maya” schopenhaueriano che separa la finzione dalla realtà che il filosofo deve scoprire) a esplorare i tesori del neorealismo. «Ero un gran divoratore di film, e lo sono tuttora», ci dice Consolo, che sullo “Spasimo” desidera mantenere il riserbo («Ho già letto e approvato una prima versione della sceneggiatura in francese, ma non posso rivelare altro») ma in generale non può che valutare positivamente il rinnovato interesse del cinema italiano contemporaneo nei confronti della realtà storica e sociale del nostro paese: «Ho amato “Gomorra”, credo sia un grande romanzo e un bellissimo film, e penso che il cinema italiano stia vivendo una svolta che non è solo artistica, perché rappresenta il segno di un sano senso di indignazione nei confronti dell’oscenità del potere, un’oscenità che è mondiale, ma di cui l’Italia con i suoi meccanismi sociali e politici di tipo “fascistico” porta oggi la bandiera».
Francesco Torre